Piattini, tazzine e “caffè al bagno”

Una storia interessante dietro un oggetto semplice come un piattino non ci si aspetta di trovarla. Un piattino lievemente più fondo rispetto a quelli che comunemente si usano oggi. Una caratteristica che può passare facilmente inosservata, ma che offre uno spaccato su un’insolita abitudine di inizio Novecento.
Ed è proprio da qui, dalle tazzine e dai piattini di “Trieste Città del Caffè”, la mostra al Museo Commerciale di via San Niccolò 7, che parte questa seconda tappa di avvicinamento al TriestEspresso Expo.

Tazzine degli storici caffè della città: il Caffè degli Specchi, lo Stella Polare, il Caffè Tergeste… Ma al di là delle forme, dello spessore della ceramica, degli elementi decorativi, a raccontare qualcosa di più su come si consumava il caffè giunge in aiuto, si diceva, la profondità del piattino. Questo, infatti, non aveva unicamente la funzione di preservare il tavolo dalle eventuali impronte di bevanda. Poteva servire, esso stesso, per sorbire il caffè.

Perchè mai sorseggiare il caffè dal piattino? Per poterne bere di più e per fare in modo che si raffreddasse più rapidamente. A Trieste chi faceva questa scelta richiedeva “un caffè al bagno”, ma si trattava di una consuetudine diffusa a livello nazionale, seppure, presumibilmente, venisse chiamata in altro modo. Un’abitudine del passato, che certo non preservava dal macchiarsi, e poi abbandonata forse perchè proprio in questo modo intaccava il “decoro” del consumatore.

Gianni Pistrini, direttore responsabile del “Notiziario Torrefattori” e curatore della mostra “Trieste Città del Caffè”, ci racconta di questa usanza.

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