“Il caffè è la vergine di un mattino silenzioso.” Così racconta Mahmud Darwish, scrittore e poeta palestinese nel libro autobiografico “Una memoria per l’oblio” .
Alcune pagine del libro sono tutte dedicate al caffè. Sotto il fuoco dei cecchini, con addosso la brama di vivere e il desiderio di momenti e sapori che ricordano la casa e la pace perduta, mentre le pallottole fischiano, ogni minuto il pensiero va con disperazione e tenacia a come preparare un caffè impossibile.
“Come fare a far circolare l’odore del caffè nel mio corpo mentre proiettili marini colpiscono la cucina affacciata sul mare e spargono tutt’intorno l’odore della polvere da sparo e il sapore del nulla? Comincio a calcolare l’intervallo tra un proiettile e l’altro. Un secondo. […] Un secondo non mi basta per fermarmi davanti al fornello che è accanto alla vetrata affacciata sul mare. Un secondo non mi basta per aprire una bottiglia d’acqua. Un secondo non mi basta per versare l’acqua bollente. Un secondo non mi basta per accendere un fiammifero. Però basta un secondo perchè io resti bruciato. […]
Voglio l’odore del caffè. Voglio cinque minuti. Voglio cinque minuti di tregua per il caffè. […] Il caffè per chi ne è maniaco come lo sono io, è la chiave del giorno. Il caffè per chi lo conosce come lo conosco io, significa prepararlo con le proprie mani e non lasciare che ti arrivi con un vassoio. Chi porta il vassoio infatti porta anche parole, e il primo caffè viene rovinato dalle prime parole: il caffè è la vergine di un mattino silenzioso. L’alba, intendo dire la mia alba è l’opposto delle parole. L’odore del caffè si impregna di voci anche se si tratta di un saluto gentile come “buon giorno”. Si rovina. E così il caffè è quell’unico, lento silenzio dell’alba, di primo mattino, in cui ti fermi, da solo, con quell’acqua che scegli con pigrizia e solitudine, di nuovo in pace con gli uomini e con le cose.”