Anni Cinquanta, anni di boom economico. Di sviluppo tecnico e cura estetica, d’incremento del potere d’acquisto e dei consumi. Dinamiche proprie anche dell’industria delle macchine da caffè, sebbene la vera esplosione, qui, non riguardi tanto la funzionalità, quanto la pura estetica. Sono gli anni in cui, mai come allora, i costruttori si giocano il tutto per tutto sulla carrozzeria, chiamando a sé i designer più in voga, da Giò Ponti a Bruno Munari.
Uno spaccato di storia d’Italia ben rappresentato nella mostra “Il secolo dell’espresso italiano”, curata dal collezionista Enrico Maltoni e visitabile fino al 4 settembre al Museo Etnografico di Lubiana.
L’innovazione tecnica che segna una cesura con le macchine dei decenni precedenti è il sistema a leva per estrarre il caffè con la crema, che rende il caffè molto più aromatico. Un’innovazione eccezionale che rivoluziona il settore, ma che una volta acquisita non continua a essere perfezionata da produttore a produttore. O se non altro, non costituisce fattore determinante per le dinamiche di concorrenza. Funzionalmente, pur con lievi differenze, le macchine dell’epoca si equivalevano. Il fattore con cui ci si conquistava nuovi consumatori era il design.
“La competizione era molto forte e puntava esclusivamente sulla carrozzeria – spiega Maltoni -. Qui si esprime una genialità incredibile, vengono prodotti modelli meravigliosi. Pensate che in questo periodo quasi tutti i modelli hanno un’illuminazione nascosta per rendere le macchine più vive, come la Dorio, in cui la luce nascosta serve a far brillare il nome”.
Nei video due modelli dell’epoca presentati da Enrico Maltoni; la Pavoni:
la Dorio: