Il primo respiro di Rebecca Hamieh

Adoro chi mi sorprende e ancor di più scoprire che qualcuno che pensavo di conoscere riesca ancora a farlo. L’autore in questione è Roberto Gilli, che con il suo primo romanzo ebook Il primo respiro di Rebecca Hamieh, racconta la vita di una sedicenne triestina figlia di un libanese e di un’ebrea italiana, che cambia radicalmente quando scopre una maschera di legno, appartenuta al nonno, che la mette in contatto con mondi paralleli, popolati da creature inquietanti e potenti. Rebecca, oscillando tra il bene e il male, entra in una lotta che, attraverso morte, sofferenza e aiuti imprevisti, la farà diventare adulta.

Un romanzo di formazione, young-adults e urban fantasy, dove fantasy, horror e problemi adolescenziali si fondono in un’ambientazione italiana contemporanea. Prima di presentarvi uno stralcio del romanzo, ambientato nel caffè storico San Marco di Trieste, riporto la motivazione della scelta del locale da parte di Roberto: “Ho scelto il Caffè San Marco per due motivi. Il primo, e forse più importante, è legato alle mie memorie, alla mia adolescenza: passavo tantissimi pomeriggi lì, a studiare, a leggere e a guardare le persone. Anche gli altri caffè storici di Trieste sono belli, lo so, ma il mio cuore è, e sempre sarà, legato al San Marco. Allora, stiamo parlando di vent’anni fa, il Caffè San Marco era un brulichio di vita: ragazzi del liceo, universitari, coppiette, anziani che leggevano il giornale per stare al caldo, vecchiette che chiacchieravano per ore e ore, giocatori di scala quaranta incalliti, tutto piuttosto popolare e caotico: una vera bellezza delirante.
Poi ci sono le maschere, il secondo motivo. Mi piaceva l’idea di far dialogare il personaggio con le maschere carnevalesche del San Marco, animare quelle decorazioni e renderle vive”.

Tratto dal romanzo Il primo respiro di Rebecca Hamieh:

Bojan si ritrovò seduto in un antico caffè viennese. Era il Caffè San Marco di Trieste e le maschere dipinte sulle pareti, tutte avvolte da svolazzi di stucco dorato, felici o tristi, lo osservano. Al bancone c’era un cameriere mezzo addormentato che, dopo avergli portato il vassoio con il caffè espresso, era ritornato vicino alla cassa e, apparentemente, riusciva a dormicchiare in piedi. Dal fondo del locale gli giungeva una musica per pianoforte. Il musicista o la musicista sembrava esercitarsi sul brano: ogni tanto il flusso di note si fermava per poi ripartire risuonando un passaggio difficile o che, evidentemente, non aveva soddisfatto l’interprete. Bojan era sicuro si trattasse di una delle Suite Inglesi di Bach ma non ricordava esattamente quale. Guardò lo scontrino appoggiato nel vassoio e si rese conto che i numeri non erano quelli che aveva osservato poco prima. «Deve essere maledettamente tardi, sto anch’io dormendo in piedi come il cameriere.» pensò Bojan. Un movimento attirò la sua attenzione sul muro. Quando fissò lo sguardo in quella direzione tutto era immobile ma la maschera di fronte a lui pareva aver cambiato espressione.

«Vuoi stare qui ancora a lungo? Non hai nulla di meglio da fare che stare qui a ciondolare?» disse una voce sabbiosa dietro di lui. Bojan si girò e, mezzo metro sopra la sua testa, sul muro, vide una maschera ridente che lo osservava. Ritornò a girarsi verso l’interno del locale e prese la tazzina in mano. «Beh, allora suggerisci qualcosa di meglio da fare. Ti ascolto.» disse Bojan sorseggiando l’espresso. Da dietro gli giungevano solamente dei borbottii indistinti. «Maschera brontolona.» disse Bojan allegro. Gli era sempre piaciuto quel locale e cercava sempre di visitarlo ogni volta che si fermava a Trieste. Adesso però lo vedeva un po’ troppo luminoso, un po’ troppo dorato. Inoltre non lo aveva mai visto così deserto. Nell’orologio sospeso sotto un arco che portava al bancone, le lancette si misero a girare veloci. Poi si fermarono di colpo e, dopo qualche secondo, iniziarono a ruotare velocemente all’indietro. Bojan sentì che la musica del pianoforte si interrompeva. «Lasciami stare, devo studiare! Domani ho l’esame al conservatorio!» disse una voce dal fondo del locale, dietro, verso i bagni, dove Bojan non poteva vedere. «Lasciami stare ti dico! Vattene!». Bojan si alzò e, mentre tutte le maschere cominciarono a sussurrargli di stare seduto, di non immischiarsi, di bere il caffè, attraversò il grande salone girando a destra verso l’altro salone che formava la grande elle del Caffè.

Per approfondire

Il progetto (ed il download gratuito): http://www.rebeccahamieh.it
La pagina FB: http://www.facebook.com/pages/Rebecca-Hamieh/183177755129142

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