Rift Valley, alfa e omega del caffè

Negli anni ’60 il Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste vedeva ancora scaricare sacchi di caffè. Lo scorso mese ha ospitato la candidatura della città a capitale dell’espresso, proposta dal Trieste Coffee Cluster. Il presidente dello TCC Furio Suggi Liverani ha concluso la serata e, dopo gli interventi di amministratori e politici, ha condotto i presenti, con un breve racconto, in tempi e luoghi lontani.

Cercando l’origine del caffè, ma anche quella dell’uomo e della sua civiltà, ha parlato della Rift Valley: 6000 chilometri circa di spaccatura nella terra da cui dipartono 3 zolle tettoniche al lavoro da millenni per dare origine a un nuovo oceano. Paesaggi incredibili e montagne erose raccontano una vita lunghissima che le ha costruite e poi distrutte.

Lì flora e fauna vedono temperature e clima mutare nel corso del tempo fino a diventare loro impossibili. Solo lì, tra Sudan ed Etiopia, è possibile ancora trovare Coffea arabica selvatica apparsa sul nostro pianeta “poco” dopo Lucy, l’ominide rinvenuto in Etiopia nel 1974.

Lì oggi troviamo il Boma National Park, un’area di 22800 km² nel Sudan Meridionale. Siamo in un paese con un’economia tra le più deboli del mondo, una mortalità materna altissima, carente di infrastrutture, ma ricco di analfabetismo; appena nato tra guerre e sfruttamento in una terra antichissima.

Negli anni ’40 il botanico A.S.Thomas, in questa zona, aveva raccolto dei campioni di Coffea arabica. Pare che nessun altro scienziato abbia poi più rischiato studi in questo territorio. Ora i suoi appunti sono stati ripresi dall’agronomo Tim Schilling nel contesto di un progetto condotto dalla World Coffee Research.

La spedizione del WCR nel Sudan meridionale risale all’aprile di quest’anno: ha riscontrato le difficoltà di sopravvivenza della pianta di caffè, proprio lì, nella sua terra d’origine. Si ipotizza persino che entro il 2020 le piante selvatiche di caffè potrebbero estinguersi. Il progetto continua a studiare i diversi genomi per cogliere i cambiamenti della specie e realizzare piante di alta qualità in grado di resistere a cambiamenti climatici.

È necessario curare le radici per costruire davvero un futuro possibile. Conoscere il passato e comprenderlo, grazie a investimenti, ricerca e innovazione, permette di migliorare. Speriamo che tutto questo porti, a noi, ma anche a una terra antica, crescita e pace.

Per maggiori informazioni in relazione al progetto della WCR [Link]

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