Prendere il caffè, la mattina, è un gesto che evoca quotidianità, abitudine, intimità. E’ proprio questo gesto al centro di uno degli episodi più famosi delle memorie dell’ufficiale italiano Emilio Lussu “Un anno sull’altipiano”, con cui denuncia l’assurdità e l’irrazionalità della Prima Guerra Mondiale. Prendere il caffè, in trincea, era un atto che riportava i soldati in una dimensione umana, come se li astraesse momentaneamente dalla disumanità e dal non senso della guerra, dal logoramento della vita in trincea, dal massacro a cui erano sottoposti. Ma ciò che evidenzia Lussu è l’universalità di questa condizione, ecco un estratto di un suo celebre passo:
“Addossati al cespuglio, il caporale ed io rimanemmo in agguato tutta la notte, senza riuscire a distinguere segni di vita nella trincea nemica. Ma l’alba ci compensò dell’attesa. Prima, fu un muoversi confuso di qualche ombra nei camminamenti, indi, in trincea, apparvero i soldati con delle marmitte. Era certo la corvee del caffè. I soldati passavano, per uno o per due, senza curvarsi, sicuri com’erano di non esser visti, chè le trincee e i traversoni laterali li proteggevano dall’osservazione e dai tiri d’infilata della nostra linea. Mai avevo visto uno spettacolo eguale. Ora erano là, gli austriaci: vicini, quasi a contatto, tranquilli, come i passanti su un marciapiede di città. Ne provai una sensazione strana. Stringevo forte il braccio del caporale che avevo alla mia destra, per comunicargli, senza voler parlare, la mia meraviglia. Anch’egli era attento e sorpreso, e io ne sentivo il tremito che gli dava il respiro lungamente trattenuto. Una vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ai nostri occhi. Quelle trincee, che pure noi avevamo attaccato tante volte inutilmente, così viva ne era stata la resistenza, avevano poi finito per apparirci inanimate, lugubri, inabitate da viventi, rifugio di fantasmi misteriosi e terribili. Ora si mostravano a noi, nella loro vita vera. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!… Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana cosa. Un’idea simile non mi era mai venuta in mente. Ora prendevano il caffè. Curioso! E perchè mai non avrebbero dovuto prendere il caffè? Perchè mai mi pareva straordinario che prendessero il caffè? Forse che il nemico può stare senza bere e senza mangiare? Certamente no. E allora, quale la ragione del mio stupore?”
Il nemico è come noi, vederlo bere il caffè mostra la sua umanità e la sua quotidianità è uguale alla nostra. L’improvvisa presa di coscienza di questo fatto genera stupore in un ufficiale che “faceva coscientemente la guerra e la giustificava moralmente e politicamente”. Una scoperta che crea smarrimento e si contrappone alle logiche della guerra finora seguite “avevo abbassato il fucile e non sparavo. In me si erano create due individualità, una ostile all’altra. Dicevo a me stesso: Ehi non sarai tu a uccidere quell’uomo! […] Rientrammo carponi in trincea. Il caffè era già distribuito e lo prendemmo anche noi“.
grazie, bellissimo! come una buona tazzina di espresso bevuta, per una volta, con tranquillità, gustata a fondo…parola dopo parola!