Il caffè dalla tazzina al piatto

Incontro conviviale e cucina creativa come non l’abbiamo mai immaginata.

L’Università del Caffè (UdC) promuove la qualità anche attraverso abbinamenti di caffè e cibo. Esempio concreto è stato un recente incontro nel ristorante triestino Ai Fiori.

È consuetudine ordinare l’espresso al bar. In questo insolito caso, la proposta riguardava non solo la bevanda, ma usando il torrefatto anche in polvere, in chicchi frantumati più o meno finemente, fino alla spruzzatina di profumo di caffè, a seconda del cibo abbinato. I commensali hanno potuto così assaporare il coloniale in forme diverse e apprendere singolari chiose non a tutti note pur nella cafetalera Trieste.

A condurre l’incontro il docente UdC Pierpaolo Segrè che ha guidato la serata alla scoperta della materia prima, delle origini non miscelate, delle loro caratteristiche e tipicità sensoriali. Quindi, non solo cibo, ma incontro istruttivo sulle monorigini torrefatte in purezza, così da definirle dei veri cru.

La proposta delle pietanze la dobbiamo allo chef Federico Esposito, triestino di nascita, ma di origini amalfitane. Dall’entrè all’antipasto, dal primo piatto al secondo per giungere al dessert, tutto con una matrice comune: il caffè, proveniente da Guatemala, Etiopia e Brasile fino al blend Idillyum a basso tenore di caffeina, abbinati differentemente a seconda dell’origine, della fase di utilizzo e della base dell’alimento.

Il menù nasce dall’estro del suo ideatore «un mese intero a provare e riprovare -afferma lo chef Esposito-. L’idea è quella di coniugare l’eccellenza del coloniale con una cucina di qualità abbinata ai vini del territorio triestino. Non è stato facile poter correttamente associare ai cibi il caffè quale delicata spezia».

Ma cosa si è andati a gustare?

Osservando il curioso e invitante menù, leggiamo:

“Il capo in B a modo nostro”: una crema parmentier aromatizzata al caffè con spuma di burrata e brioche al sale di Pirano (paese istriano ricco di saline ndr). A questa portata veniva abbinato un espresso della miscela Idillyum (con limitato tenore di caffeina, solo 1,3% ndr). Mentre il vino era un bollicine KK del produttore carsico Edy Kante.

L’antipasto aveva il nome di “Un caffè in mezzo al mare” e prevedeva una cruditè di scampi istriani con olio Mate profumato ai chicchi di caffè; poi una tartara di dentice con tartufo nero e polvere di caffè; carpaccio di branzino marinato al caffè. La tazzina di espresso di accompagnamento era la miscela a tostatura rossa. In questo caso, il vino era Prulke, un uvaggio del vignaiolo carsico Zidarich.

La prima portata “Con poco caffè… in zucca”, altro non era se non un curioso fagottino di crespella al monoarabica Etiopia, ripieno di granseola e ricotta, gratinato al forno su fonduta di zucca e germogli misti. L’iperespresso era l’etiopico e il vino Chardonnay di Kante.

La cena si concludeva con “Un caffè al volo” a indicare un piatto composto da petto d’anatra in infusione di monoarabica Guatemala (stessa origine poi per l’espresso), cotto a bassa temperatura con bouquet di verdure al vapore e patate La Ratta al rosmarino. Il tutto abbinato al vino Ruje di Zidarich.

A conclusione, “Dolce come… il caffè”: una bavarese al caffè con monoarbica Brasile (anche in questo caso stessa origine dell’espresso), con crema inglese con gruè di fave di cacao e biscotto brownie.

I sapori hanno permesso un crescendo di percezioni sensoriali e l’apprezzamento della curiosa proposta. Nota di apprezzamento: anche i grissini erano fatti dalla cucina del ristorante… a base di caffè!caffè e cibo

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